Gentili signore, egregi signori,
care amiche, cari amici,
care compagne e cari compagni,
vi ringrazio innanzitutto dell’onore concessomi di prendere la parola ad Arbedo oggi, primo maggio, Festa de lavoratori.
Ricorrenza importante non solo per ricordare le numerose lotte per i diritti dei lavoratori del passato, ma giornata importante tutt’oggi per rivendicare più giustizia sociale.
Sin sul nascere, le lotte del primo maggio hanno mobilitato “lavoratori che rivendicavano meno lavoro”. Sembra un paradosso. Ma naturalmente non lo è.
Certo, il lavoro è centrale. Significa pane. A volte ci permette di realizzare dei sogni (altre volte li imprigiona i nostri sogni e ci costringere a metterli in un cassetto). Rinunce. Il lavoro significa un futuro migliore per i figli. Il lavoro è identità.
“Cosa fai nella vita?” “Dove lavori?” Quante volte l’abbiamo chiesto ad una persona appena conosciuta? Quante volte ci siamo “determinati”, ci siamo presentati al mondo così, attraverso il lavoro?
Ma noi non siamo solo la professione che abbiamo studiato, il mestiere che abbiamo appreso, l’attività remunerata che svolgiamo. Noi siamo anche altro. Siamo di più.
La vita non è solo lavoro. La qualità della vita dipende anche da come stiamo prima e dopo che lavoriamo.
Allora, agli albori del primo primo maggio nel XIX secolo, si chiedeva la riduzione della giornata e della settimana lavorativa. In molte parti del mondo ancora oggi non esiste nessuna regolamentazione.
Allora, i campi, le risaie, le fabbriche, i grandi cantieri non solo rubavano tempo libero e una vita “altra”, rubavano letteralmente la vita consumandola presto.
In molti parti del mondo è ancora oggi è così, le miniere esistono ancora.
Ora c'è una miniera che ci danno mille lire l'ora per andare giù
Quando usciamo inciampiamo nelle stelle
Perché le stelle ormai quasi non le vediamo più
(Francesco De Gregori, La ragazza e la miniera)
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Certo, i tempi sono cambiati. Qualche battaglia importante l’abbiamo vinta.
Ma stress, burn-out, malattie – soprattutto psichiche - dovute al lavoro sono in grande aumento. In maniera diversa, ma di lavoro ci si ammala ancora.
Sul piano dei diritti del lavoro, negli ultimi anni, invece di fare passi avanti abbiamo perso terreno.
Gli stipendi reali si sono ridotti, il potere di acquisto di chi percepisce uno stipendio in Svizzera e soprattutto in ticino è diminuito.
Nel 2022 -0,9% in media in Svizzera e sicuramente ancora di meno in Ticino, dove gli stipendi medi (sia quelli minimi, quelli delle migliaia di persone con lavori precari e mal pagati, sia quelli medi e medio-altri) sono inferiori che nel resto della Svizzera di 1200/1500 franchi al mese. Con invece un costo della vita molto simile se non perfettamente identico tra Bellinzona e ad esempio Soletta, Frauenfeld, Yverdon.
Abbiamo diritto anche in ticino a salari svizzeri! Non facciamoci fregare da imprenditori interessati, da politici furbi e da economisti un po’ confusi che ci dicono che in fondo da noi il caffè al bar costa meno o “che in fondo, dai, in ticino c’è il sole e si vive bene”. Oggi piove! E non abbiamo l’umore giusto per farci prendere per i fondelli.
Anche chi vive di una rendita di vecchiaia, invalidità o non ha un lavoro ha visto le sue pensioni diminuire: pensiamo solo alla situazione del secondo pilastro, delle casse pensioni. Ci avevano illuso che investendo a nostro nome i capitali risparmiati nel corso di una vita avremmo potuto continuare a beneficiare di una vecchiaia tranquilla dal punto di vista economico. Invece i mercati finanziari non hanno fatto il miracolo. I tassi di conversione continuano a scendere e con loro anche le rendite.
Le donne, hanno appena visto aumentare di un anno l’età pensionabile e di fatto visto diminuire la propria rendita di pensione. Quando la parità salariale è ancora lontana.
Per questo oggi, primo maggio 2023 è ancora importante essere qui e affermare con forza:
Più salari, più rendite, parità adesso!
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Ma anche il tema della difesa della qualità di vita e della regolamentazione del tempo di lavoro è sempre di attualità.
A giugno voteremo sul referendum sulla nuova legge sui negozi che, passettino dopo passettino, fettina di salame dopo fettina, punta dritta alla liberalizzazione totale dell’apertura dei negozi.
Su questo punto: bisogna scegliere da che parte vederla. Probabilmente sarà capitato anche a voi di guardare o leggere quei servizi “on the road”, quando i giornalisti pongono delle domande ai passanti ignari.
Su questo tema delle aperture dei negozi, c’è chi risponde pensando alla propria situazione. A me, che mi fa comodo andare a fare la spesa la sera e la domenica.
C’è chi invece risponde pensando a chi lavora nei negozi e ai loro familiari.
Da un lato uno sguardo utilitaristico e un po’ egoista. Incentrato su me stesso, al mio agio, a cosa mi è più comodo o meno.
L’altro sguardo richiede invece la capacità di pensare all’altro. Richiede un po’ di empatia. Di mettersi nei panni dell’altro.
Bisogna scegliere da che parte stare. Noi stiamo dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori e delle loro famiglie.
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Purtroppo però la nostra epoca, e il nostro piccolo Ticino in particolare, è dominato dal pensiero neo liberista, dal neo liberal-capitalismo.
Vi cito - per terminare il mio intervento e attingendo generosamente alle sue parole -Gianpaolo Conte, docente di storia economica all’università di Roma che ha scritto un libro dal titolo “Riformare i vinti”.
Gianpaolo Conte propone un’accurata analisi economica storica dell’azione del liberal-capitalismo prima e del neoliberismo ora, come strumento di coercizione, non militare, ma politico, economico, culturale, che va a modificare gli stili di vita. Che impone quindi una vera e propria “forma mentis” in modo che la società che lo subisce interiorizza tutta una serie di cambiamenti.
Anche in modo non cosciente. È proprio questa la sua forza.
Dietro a un’idea forte di libertà, di libertà individuale, ci stanno tutta una serie di trasformazioni a cascata che vanno però a vantaggio solo di un gruppo sociale rispetto agli altri.
E chi siano i gruppi sociali più avvantaggiati lo si capisce dalle decisioni prese anche nel nostro Gran Consiglio.
Come ad esempio quella sugli sgravi alle famiglie più benestanti attraverso le deduzioni fiscali dei premi dei minorenni.
Un’idea apparentemente seducente, ma che finisce per regalare un lecca-lecca ad un bambino povero o del ceto medio e invece regalare al bambino di una famiglia molto benestante una play station dell’ultima generazione.
Peccato che questo bambino ricco ce l’ha già! La Play station 5.
Questo referendum è quindi importantissimo per la politica sociale dei prossimi anni. Se riusciamo a bloccare questa ingiustizia sociale alle urne, in Parlamento abbiamo già depositato un adeguamento verso l’alto della riduzione dei premi di cassa malati per le famiglie con un reddito medio. Un intervento mirato a chi fa veramente fatica pagare i premi.
Se invece perdiamo, allora sarà davvero ancora più difficile fermare l’avanzata di questa egemonia neo-liberista.
E noi siamo qui, care amiche e cari amici, care compagne e cari compagni, nonostante la pioggia e il freddo, a ribadire che nonostante tutto ci siamo! Che non siamo d’accordo che tutto questo continui così.
Lo facciamo alla nostra maniera, condividendo un piatto di polenta, un merlot e cantando una canzone insieme, ma acqua o non acqua, decreto morisoli o non decreto morisoli, noi siamo orgogliosi e fieri di festeggiare la festa dei lavoratori.
Buon Primo Maggio. Viva il socialismo. Viva la libertà.